Storia
Storia dell’associazione di Firenze
L’associazione Paracadutisti di Firenze nasce nell’immediato dopoguerra (1946) ad opera di un gruppo di reduci provenienti da quasi tutti i reparti paracadutisti operanti nell’ultimo conflitto; la prima denominazione è API (Associazione Paracadutisti Italiani), viene successivamente cambiata in FIPS (Federazione Italiana Paracadutismo Sportivo) e successivamente e definitivamente nell’attuale denominazione di ANPd’I (Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia).
Tra i fondatori si ricordano, ad esempio:
PICCINNI GIOVANNI (già tenente FOLGORE ad EL ALAMEIN)
ZINI OSVALDO (già Sergente istruttore a Tarquinia poi X MAS)
BALZINI ETTORE (già RGT FOLGORE RSI)
Avv. MATALONI FRANCO (già BTG AZZURRO RSI)
Avv. MARTELLA ANTONIO (già DIV. NEMBO)
FIORAVANTI ALVARO (già ADRA (Arditi Distruttori Regia Aeronautica))
MANSANI GIANNI (già BTG AZZURRO RSI)
MASONI LEONARDO (già DIV. FOLGORE a Tarquinia)
e molti altri come risulta dall’atto notarile appeso nei locali della Sezione.
L’ANPd’I è come una normale associazione d’arma composta da paracadutisti, ma questi paracadutisti durante il conflitto avevano militato in entrambi gli schieramenti, ottimo esempio di capacità di riconciliazione e amor di Patria; al di sopra delle personali idee politiche.
All’inizio la sua sede è situata in via Rondinelli congiunzione con via Tornaboni, ma solo fino al 1949, in seguito, necessitando di più spazio, si trasferisce in via Santa Reparata ove è possibile impiantare anche una palestra di pugilato, in quegli anni pionieristici l’attività della Sezione si divide tra la pratica sportiva ed i lanci effettuati anche all’aeroporto di Firenze (Peretola) da un SM82 con le insegne dell’Ordine di Malta.
Negli anni ’60 la sezione vive un periodo felicissimo e di grande attività, sono anni in cui si riesce a fare fino a 3000 lanci all’anno tra pratica sportiva e lanci di interesse militare, oltre naturalmente ad una intensa vita sociale con cene, ritrovi e balli al Grand Hotel.
Nel frattempo anche la sede è trasferita in via De Federighi, agli inizi degli anni ’70 si ottiene l’uso degli impianti sportivi militari al Campo di Marte, anche per i buoni uffici del Gen. Tamborrino, ove viene impiantata anche una falsa carlinga di C119 e tutto ciò che era necessario per il corso-brevetto.
La sezione si sposta nuovamente in via Jacopo da Diacceto, sede ideale per la logistica, proprio di fianco alla stazione di Santa Maria Novella, l’attività aviolancistica si effettua a Peretola con un Cessa 172 marche I-ZUBO fino al ’78, sostituito poi nel ’79 da un A.L.60 fino al 1980; Direttore Tecnico e responsabile dei lanci “Gianni Mansani” con il fattivo supporto di Mario Guercini, Sandro Gargini, Dainelli Alberto (Istruttore ai corsi di paracadutismo) e di molti altri paracadutisti che provenivano un po’ da tutta la regione.
L’attività lancistica cessa per la mancanza del mezzo aereo, riprendendo saltuariamente grazie alla possibilità di noleggiare i velivoli da varie società che operavano nel settore, diversificando l’attività sia sull’aeroporto di Peretola che sull’aviosuperficie di Galliano; durante uno di questi periodi di apertura dell’attività su Peretola, un grave incidente di lancio provoca il decesso di Sergio Carlini.
Successivamente, la decisione politica di ampliare l’Aeroporto di Peretola come scalo passeggeri, decreta la fine dell’attività lancistica su questo aeroporto e la necessità dei paracadutisti fiorentini di ricercare una zona dove ci sia la possibilità di effettuare la normale attività sportiva, possibilità inizialmente offerta dall’aeroporto di Siena e dal 1992 da quello di Arezzo.
Nel 1996 la Sezione si sposta ancora, da via Jacopo da Diacceto a Piazza San Pancrazio nella ex caserma “Marini”, locali di pregio storico architettonico notevole.
Il chiostro su cui si affacciano le varie Associazioni d’Arma, un tempo prima di diventare caserma, faceva parte di un complesso monastico adiacente alla chiesa di San Pancrazio, costruito nel 1400 su ampliamento della stessa chiesa che in quel periodo ospitava l’ordine monastico dei “Vallombrosiani” che rimasero nel complesso fino agli inizi del 1800.
Il loggiato del chiostro, è caratterizzato da archi a tutto sesto e volte a crociera sorretti da colonne con capitelli in stile ionico, sui tre lati non adiacenti alla chiesa (sul quarto lato sono presenti a rilievo i profili delle arcate cieche). Il contrasto tra gli intonaci bianchi e la pietra serena grigia è tipico dell’architettura fiorentina tradizionale; vi è un affresco rappresentante San Giovanni Gualberto e altri Santi dell’Ordine Vallombrosano di Neri Bicci.
Due parole per ringraziare e descrivere chi ci ha aiutato in quest’opera:
MANSANI GIANNI: paracadutista del BTG. AZZURRO-RSI. Si arruola giovanissimo, sceglie di combattere al nord per riscattare l’onore d’Italia, ritiene i paracadutisti il reparto più consono al suo carattere. Combatte per la difesa di Roma. Compie poi il ripiegamento fino in Romagna e poi a Tradate.
Opera in seguito sulle Alpi Occidentali fino alla fine del conflitto. Dopo la guerra è tra i fondatori della Sezione e ne diviene anche Presidente. Frequenta assiduamente la Sezione presenziando alle cerimonie organizzate per la consegna degli attestati di Abilitazione al Lancio.
MASONI LEONARDO: ha militato in Etiopia facente parte della Presidenza Vicereale, partecipando alle Grandi Operazioni di Polizia Coloniale negli anni 1938-39-40. Combatte sul fronte Greco-Albanese ove rimane ferito e subisce un congelamento, viene proposto per la MAVM. Decide di arruolarsi nelle nascenti aviotruppe per passione del volo e spirito di avventura. Nel ’41 viene destinato a Tarquinia sede della Scuola Paracadutismo, effettuò 2 lanci e subì un infortunio. In seguito le alterne vicende del conflitto lo portarono a militare nella RSI, fu assegnato alla Milizia Ferroviaria fino alla fine delle ostilità. Trasferitosi nella Polizia, all’epoca Pubblica Sicurezza, ha conseguito 2 Croci al Merito di Guerra e 2 Campagne di Guerra. E’ anch’egli tra i fondatori della Sezione, ne diverrà Presidente. Sempre presente alle manifestazioni pubbliche è Presidente Onorario della stessa.
Gen. Par. TAMBORRINO ANTONIO: rimane affascinato sin da bambino dai paracadutisti di stanza in Puglia. Decide di entrare nell’esercito e il fato vuole che venga assegnato alla “NEMBO” diretta erede della “FOLGORE” nel dopoguerra. Ricopre diversi incarichi di comando e dopo che i reparti paracadutisti vengono ricostituiti, comanda il 2° BTG della Brigata “Folgore” e successivamente la Scuola Militare di Paracadutismo. Capo di Stato Maggiore della Folgore per tre anni, ha conseguito le seguenti decorazioni:
– Medaglia d’Argento
– Medaglia Mauriziana
– Decorazione al Merito
– Medaglia d’Oro Lungo Comando
E’ grazie alla sua opera all’interno dei vari comandi regionali della Toscana, discreta ma efficace, che la Sezione riesce ad espletare al meglio le sue attività. Da quando non è più in S.P.E. frequenta abitualmente la Sezione presenziando alle cerimonie organizzate per la consegna degli attestati di Abilitazione al Lancio.
PRESIDENTI DELLA SEZIONE:
1)Ten.SILIERI
2)Avv.MARTELLAANTONIO
3)nonidentificatogiàCapitanoaElAlamein
4)FIORAVANTIALVARO
5)BELLISARIONALDINI
6)MANSANIGIANNI
7)MASONILEONARDO
8)LABARDIGIULIANO
9) GAINI GIANLUCA
San Pancrazio: la chiesa e il monastero
Nelle prime tre cerchie delle mura fiorentine (quella romana, quella bizantina e quella carolingia), esattamente nel luogo dove oggi via Strozzi si incrocia con via Tornabuoni, si apriva una porta.
Quella porta, che in epoca romana si chiamava “Porta principalis sinistra”, in epoca bizantina e in epoca carolingia si chiamava invece “Porta occidentalis” o “Porta occidentale”.
Nel 1078 la contessa Matilde, durante la cosiddetta “lotta per le investiture”, volle proteggere la città da incombenti e probabili attacchi di cavalieri tedeschi. Fece perciò costruire una nuova cerchia di mura (la quarta in ordine di tempo) ancora più ampia della precedente. La popolazione che allora abitava dentro la città si calcola che ammontasse a circa 15-20.000 unità.
Anche questa cerchia (che ai nostri tempi viene detta anche “di Cacciaguida” perché costruita ai tempi del trisavolo di Dante) mantenne la porta in fondo a via Strozzi, ma non si chiamò più Porta Occidentale, bensì “Porta San Pancrazio”, anzi, in dialetto fiorentino “Porta San Brancazio”.
Il borgo di San Pancrazio
La porta aveva cambiato il proprio nome perché la principale delle quattro strade che da essa partivano (l’attuale via della Spada), conduceva alla chiesa e al monastero di San Pancrazio intorno ai quali era sorto un nutrito borgo. Quando nel 1172 la Signoria fiorentina dette luogo a una nuova cerchia di mura (la quinta dalle origini, la prima fatta costruire dal Comune), il Borgo di San Pancrazio si ritrovò all’interno della città e la porta San Pancrazio fu spostata dalla fine di via Strozzi all’inizio dell’attuale via Palazzuolo dove prese però il nome di “Porta a San Paolo”.
In compenso San Pancrazio divenne una delle prime 36 parrocchie fiorentine e dette luogo a uno dei sei “Sestieri” in cui venne allora divisa tutta la città: il Sestiere appunto di San Pancrazio, che aveva per insegna una branca di leone rossa in campo argento. Dice il Villani: “San Brancazio colla insegna della branca di leone per lo nome”, intendendo dire che i fiorentini, poiché ne storpiavano il nome in San Brancazio, vollero dargli per simbolo una “branca” (cioè una zampa) di leone.
La popolazione dentro le mura, con questa nuova cerchia, si calcola salisse a 35-40.000 abitanti.
San Pancrazio, il santo contro gli spergiuri
Il santo martire romano Pancrazio era nato nel 290 e morì a soli 14 anni sotto l’imperatore Diocleziano. Rimasto orfano, fu portato a Roma dallo zio e battezzato. Pare che richiesto dall’imperatore stesso di abiurare dietro allettanti promesse, egli si rifiutasse con una forza d’animo non comune a quella verde età. Di conseguenza fu decapitato sulla via Aurelia e sulla sua tomba sorse successivamente un basilica cristiana dove Gregorio Magno tenne una volta una omelia in suo onore.
Poiché nella sua storia si racconta che gli spergiuri, se fatti giurare sulla sua tomba, non riuscivano più a ritrarre la mano, San Pancrazio o San Brancazio come dicevano storpiandone il nome i fiorentini, fu considerato il punitore dei falsi testimoni e Santo della Giustizia. “Onde infino al dì d’oggi (si racconta nella Passio del Santo) si tiene che sopra le reliquie di San Pancrazio si fa giuramento per cose gravi che accaggiono”.
Per questo motivo se ne diffuse il culto in tutta Europa dove fiorirono e si moltiplicarono le sue reliquie; si dice che venti città vantassero il possesso del suo corpo e altre dieci della sua testa, migliaia di chiese il possesso delle sue ossa.
La chiesa di San Pancrazio
A Firenze la chiesa di San Pancrazio è rammentata sui documenti fin dal 931 ma il Villani racconta che esisteva già ai tempi di Carlo Magno.
In ogni caso al piccolo edificio originale, si affiancò verso la metà del 1100 un monastero dove furono alloggiate le monache benedettine di Sant’Ellero (cioè di sant’Ilario).
Ma nel 1235 il Papa Alessandro IV le soppresse e assegnò il monastero ai frati Vallombrosiani.
Verso la metà del 1300 la chiesa fu ampliata con cappelle absidali e fu completata la facciata in stile gotico con i muri che ancora oggi conserva.
Verso la metà del 1400 venne realizzato l’attuale chiostro con il dormitorio e il refettorio per i frati e la chiesa fu ammodernata in stile rinascimentale. Nel 1467 Giovanni Rucellai, che apparteneva a una delle maggiori famiglie della parrocchia di San Pancrazio, commissionò a Leon Battista Alberti, suo architetto di fiducia, la propria cappella familiare all’interno della chiesa. L’Alberti vi realizzò il celebre tempietto del Santo Sepolcro, uno dei più importanti “tesori segreti” del Rinascimento fiorentino.
I potenti Rucellai
I Rucellai, antica famiglia ancora fiorente a Firenze, erano nel XV secolo una potentissima famiglia. Una delle più potenti e ricche della città e strettamente imparentata con la famiglia dei Medici. Mercanti di lana e banchieri, i Rucellai erano presenti con le loro merci e con i loro prestiti, su tutte le piazze più importanti d’Europa e anche su alcuni mercati d’oriente. La loro fortuna era cominciata con la scoperta dell’oricellus, una pianta con la quale si potevano colorare con grande economia i panni di lana e da cui era derivato il loro nome originale (Oricellari).
L’apice della potenza e della ricchezza essi le raggiunsero però con Giovanni, il cui nome si legge ancora oggi a caratteri cubitali sulla facciata di Santa Maria Novella (Johanes Oricellarius Pav. Fan. S. MCCCCLXX) che egli fece decorare con preziosi marmi da Leon Battista Alberti. il grande architetto il quale gli aveva già fornito il disegno per il palazzo e per la loggia di famiglia in via della Vigna Nuova.
Il sepolcro di Cristo a Firenze
Una porta laterale della chiesa in via della Spada da accesso alla Cappella Rucellai che comprende l’intera navata sinistra del tempio, l’unica che sia conservata fino ai tempi nostri. Al suo interno troviamo l’edicola del Santo Sepolcro di Cristo che nel 1467 il potente Giovanni Rucellai fece costruire a Leon Battista Alberti.
Giovanni prima di realizzarla, mandò apposta un suo emissario a Gerusalemme per acquisire tutte le misure esatte del Santo Sepolcro di Cristo e su quelle misure l’Alberti costruì la meravigliosa “edicola”. Essa ha la forma di tempietto a pianta rettangolare con una piccola abside. L’esterno è rivestito di pannelli di marmi a due colori che formano figure geometriche con soggetti araldici che ricordano la decorazione della parte superiore della facciata della chiesa di Santa Maria Novella.
In alto, è riportata a intarsio una frase del Vangelo di San Marco ed è sormontata da un coronamento di gigli ad imitazione delle “falconature orientalizzanti”. Dal fastigio sorge una piccola cupola sorretta da esili colonne.
Entrando dalla bassa porticina dentro l’edicola, vediamo riprodotto il sepolcro, nel cui interno giace una figura di Cristo in terracotta dipinta, ed una Resurrezione affrescata da Alessio Baldovinetti.
Questo tempietto è considerato una delle opere minori più belle del Rinascimento fiorentino.
Dal Sacro al Profano
La chiesa nel 1752 fu rialzata, scorciata di un terzo e modificata in senso neoclassico.
Nel 1808 le leggi Napoleoniche soppressero chiesa e convento che divennero “Direzione della Lotteria Imperiale di Francia”, attività meno sacra ma più remunerativa per le casse dello Stato.
Successivamente invece divennero la Pretura (dove immaginiamo che gli spergiuri avranno avuto vita difficile!).
Dal 1883 l’ambiente accolse invece la Manifattura dei tabacchi finché nel 1937 San Pancrazio fu trasformato in una caserma militare intitolata a Ettore Vannini.
Oggi il fabbricato ecclesiale accoglie il Museo Marino Marini, mentre l’antico convento ospita le Associazioni Combattentistiche e d’Arma fra cui la sezione “Leonida Turrini” dell’ANPd’I.
Ten. Col. Par. LEONIDA TURRINI:
Nato a ROMA il 11/10/1912
CAPITANO ISTRUTTORE a Tarquinia collauda di persona il nuovo paracadute IF41SP
(Imbracatura Fanteria Scuola Paracadutisti 1941).
Dopo la guerra è a Viterbo sede della scuola paracadutismo, alla sezione addestramento e lanci.
Muore a Prato (FI) in seguito alle ferite di un incidente stradale il 09/07/1961.
In suo ricordo gli viene intitolata la sede ANPd’I di Firenze.
Appello:
se qualcuno avesse informazioni, di qualunque genere, riguardanti Leonida Turrini è caldamente invitato a contattarci al fine di aumentare la conoscenza su questo personaggio che ha fatto la storia del paracadutismo, rimanendo purtroppo alla storia quasi sconosciuto.